Prima di avventurarci in questa diatriba che tiene banco sul mercato Italiano ed Europeo ( e non solo), ricordiamo quali sono le basi di una corretta etichettatura di prodotti Alimentari. Il Reg CE 1169/11 (1) prevede obbligatoriamente:
- la denominazione dell’alimento
- l’elenco degli ingredienti
- qualsiasi ingrediente o coadiuvante tecnologico, elencato nell’allegato II o derivato da una sostanza o un prodotto elencato in detto allegato, che provochi allergie o intolleranze, usato nella fabbricazione o nella preparazione di un alimento e ancora presente nel prodotto finito, anche se in forma alterata
- la quantità di taluni ingredienti o categorie di ingredienti
- la quantità netta dell’alimento
- il termine minimo di conservazione o la data di scadenza
- e condizioni particolari di conservazione e/o le condizioni d’impiego
- il nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare di cui all’articolo 8, paragrafo 1 9
- il Paese d’origine o il luogo di provenienza ove previsto all’articolo 26
- le istruzioni per l’uso, per i casi in cui la loro omissione renderebbe difficile un uso adeguato dell’alimento
- per le bevande con più dell’1,2% di alcol in volume, il titolo alcolometrico volumico effettivo
- una dichiarazione nutrizionale.
In merito all’articolo 26, il Reg CE 2018/775 è il regolamento applicativo dove vengono definite regole, ma spesso come capita sui prodotti alimentari in UE “generici” in merito a come tracciare in etichetta compresenza di ingredienti/origini diverse, più paesi di origine, ingrediente primario composto, salvo le deroghe derivanti da altri sistemi regolamentatori già normati in tal senso (biologico, IGP/DOP, marchi registrati, olio EVO).
Infatti il Reg CE 2018/775, che non si applica agli IGP/DOC o P/STG, biologico, dice che l’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza di un ingrediente primario, che non è lo stesso paese d’origine o luogo di provenienza indicato per l’alimento, dovrà essere fornita:
Con riferimento a una delle seguenti zone geografiche:
1. «UE», «non UE» o «UE e non UE»; o
2. una regione o qualsiasi altra zona geografica all’interno di diversi Stati membri o di paesi terzi, se
definita tale in forza del diritto internazionale pubblico o ben chiara per il consumatore medio
normalmente informato; o
3. la zona di pesca FAO, o il mare o il corpo idrico di acqua dolce se definiti tali in forza del diritto internazionale o ben chiari per il consumatore medio normalmente informato; o
4. uno o più Stati membri o paesi terzi; o
5. una regione o qualsiasi altra zona geografica all’interno di uno Stato membro o di un paese terzo, ben chiara per il consumatore medio normalmente informato; o
6. il paese d’origine o il luogo di provenienza, conformemente alle specifiche disposizioni dell’Unione applicabili agli ingredienti primari in quanto tali;
oppure attraverso una dicitura del seguente tenore:
1. «(nome dell’ingrediente primario) non proviene/non provengono da (paese d’origine o luogo di provenienza dell’alimento)» o una formulazione che possa avere lo stesso significato per il consumatore.
In particolare, l’obbligo di riportare l’origine o provenienza dell’ingrediente primario sussisterà qualora, sulla stessa etichetta, siano presenti anche altre diciture o immagini che possano, di per sé, suggerire un’origine o provenienza del prodotto diversa da quella effettiva.
L’obbligo dell’indicazione in etichettatura sull’origine dell’ingrediente primario vale anche per il riso, per il pomodoro per la passata, per il latte nelle confezioni di latte UHT, formaggi e la carne di maiale nei salumi) ed è stato rafforzato con l’entrata in vigore del regolamento europeo 2018/775 (2) . Regolamento come dicevamo che risulta essere “generalizzante” in parte. Si passerà dunque a regole che prevedono indicazioni sulla provenienza degli ingredienti principali (se diversi da quello che la confezione lascia intendere) ma in modo meno stringente di quelle in vigore in Italia fino a fine anno (2021), lasciando in sostanza molta più flessibilità sul riferimento all’origine.
ESEMPI
- Si pensi ad un prodotto denominato “pizza margherita” o “pizza bella Napoli” ma realizzato all’estero, oppure ad una birra prodotta nelle Marche ma accompagnata dall’indicazione “100% di
orzo trentino” o da un disegno delle Dolomiti. In assenza di elementi “suggestivi” di questo genere, invece, in via generale la specificazione dell’origine o provenienza è rimessa alla libera scelta
dell’operatore. - Filiera lattiero Casearia che fino a poco tempo fa bisognava riportare l’origine obbligatoria della materia prima ora non sarà più necessario. Latte prodotto in Italia ma magari con latte Rumeno,
Ucraino! - Dal prossimo 31 dicembre 2021, con la scadenza dell’obbligo di etichettatura dell’origine del grano utilizzato, la dicitura “Pasta 100% italiano” verrà a perdere almeno a livello europeo senso, «con grave danno per quei consumatori che hanno preso d’assalto penne e spaghetti certificati tricolori con un aumento delle vendite del 29% nello scorso anno». A ricordarlo (e denunciarlo) è il presidente della Coldiretti Ettore Prandini in occasione del World Pasta Day- la giornata Mondiale della Pasta. Gli industriali della pasta assicurano comunque che l’origine del grano sarà ancora indicata e ricordano come il grano italiano copra solo una parte della produzione nazionale. I problemi d’interpretazione riguarda, in particolare, l’identificazione dell’origine in tutti i casi in cui la produzione dell’alimento abbia, in qualche modo, coinvolto più Paesi diversi (perché, ad esempio, gli ingredienti che compongono l’alimento hanno diverse provenienze, oppure perché le varie fasi del processo produttivo sono state svolte in Paesi differenti). In queste ipotesi, la normativa di riferimento – che è quella contenuta nel codice doganale europeo e riguarda qualunque tipo di merce, anche non alimentare (4) stabilisce che l’origine del prodotto corrisponda al Paese in cui è avvenuta “l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale… che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo od abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione”.
L’inadeguatezza di una tale definizione emerge ove si consideri che, per esempio, un succo di pere ottenuto da materie prime estere lavorate nel nostro Paese riporterà in etichetta l’origine italiana. La medesima origine potrebbe, potenzialmente, essere indicata per una birra interamente prodotta all’estero, che abbia però subito in Italia una maturazione finale in botte che abbia inciso in misura rilevante sulle caratteristiche del prodotto.
Lo stesso esempio è calzante per pasta fatta con ingrediente primario estero (Es Canada a caso) oppure materie prime miste.
L’ importanza dell’etichetta (pasta)
L’attuale obbligo prevede che le confezioni di pasta secca prodotte in Italia debbano indicare il nome del Paese nel quale il grano viene coltivato e quello di molitura e se proviene o è stato macinato in più Paesi possono essere utilizzate, a seconda dei casi, le seguenti diciture: paesi Ue, paesi Non Ue, paesi Ue e Non Ue. Inoltre, se il grano duro è coltivato almeno per il 50% in un solo Paese, come ad esempio l’Italia, si può
usare la dicitura: Italia e altri Paesi Ue e/o non Ue.
«È una misura che ha portato gli acquisti di pasta con 100% grano italiano a crescere quasi 2 volte e mezzo, spingendo le principali industrie agroalimentari a promuovere delle linee produttive con l’utilizzo di cereale
interamente prodotto sul territorio nazionale. Un trend sul quale rischia però ora di scatenarsi una tempesta perfetta, con la scadenza dell’obbligo dell’origine in etichetta che si aggiunge al caro prezzi determinato dagli aumenti delle quotazioni internazionali del grano legati al dimezzamento dei raccolti in Canada.
I risultati della consultazione pubblica sull’etichettatura dei prodotti agroalimentari che è stata condotta da ISMEA, a cavallo tra i 2014 ed il 2015, per conto dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali: su oltre 26.500 partecipanti, più del 96% ha dichiarato di considerare molto importante che sull’etichetta sia scritta in modo chiaro e leggibile l’origine dell’alimento, mentre per l’84% è fondamentale l’indicazione del luogo in cui è avvenuto il processo di trasformazione dell’ingrediente primario.
Gli stessi risultati sono stati peraltro confermati da una successiva indagine demoscopica svolta, sempre da ISMEA, tra dicembre 2018 e gennaio 2019 (3)
Questo ovviamente non vuol dire che i produttori non punteranno più su una fascia di prodotto che funziona e premia il made in Italy. «Gli italiani, così come fatto finora, continueranno a trovare nelle confezioni le informazioni sull’origine della materia ( presidente dei Pastai italiani di Unione Italiana Food).
A prescindere da qualunque quadro normativo in materia, non cambierà la nostra trasparenza nel far sapere al consumatore da dove arriva il grano utilizzato per fare la pasta». Ogni anno nei pastifici italiani vengono fatte oltre 200mila analisi sul grano e 600mila sul prodotto finito ed è solo l’ultimo di 15 livelli di controllo di qualità e sicurezza.
L’ingrediente primario italiano resta comunque centrale nella produzione di pasta Made in Italy: non solo i pastai italiani acquistano tutto il grano duro italiano adatto alla pastificazione, ma – sottolineano da Unione
Italiana Food – con un protocollo d’intesa siglato nel 2017 con i principali attori della filiera (agricoltori, cooperative, aziende sementiere e di stoccaggio, industria di trasformazione), hanno certificato unità di intenti per renderla più competitiva nel segno di qualità, sicurezza e corretta ripartizione del valore.
Fonte: coldiretti, Pastai Italiani
(1) Regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori”, che rappresenta il testo normativo fondamentale sull’etichettatura dei prodotti alimentari, reperibile qui
(2) Regolamento (UE) 2018/775”recante modalità di applicazione dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, per quanto riguarda le norme sull’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza dell’ingrediente primario di un alimento”. Reperibile qui
(3) ISMEA Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare, Indagine sull’etichettatura dei prodotti agroalimentari, Sintesi dei risultati e della Metodologia, reperibile al seguente link
(4) Regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, che istituisce il Codice Doganale dell’Unione, reperibile qui
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